LA LEGISLAZIONE COMUNITARIA

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Le questioni più rilevanti in tema di lavoro femminile in ambito europeo sono riconducibili essenzialmente a tre principi fondamentali: il principio di parità di retribuzione,il principio di non discriminazione ed il principio delle pari opportunità nell’avanzamento verso le più alte professionalità.nnIl principio di parità tra i due sessi, rappresenta uno dei temi del diritto comunitario più rilevanti e di più diretta incidenza, nonostante il fine ultimo del legislatore comunitario sia quello di garantire il buon funzionamento del mercato.nnTuttavia, è proprio garantendo la realizzazione delle pari opportunità tra donne e uomini,sia nel mondo del lavoro che in tutte le attività politiche e sociali, che tale fine ultimo potrebbe essere perseguito, quale frutto di una elaborata valutazione di politicanneconomica.nnAttraverso lo studio dell’evoluzione del principio di parità, a partire dai primi interventi normativi comunitari, ci si accorge di quanto la sua attuazione sia stata un punto fisso nei programmi di azione europea, coinvolgendo in maniera più o meno intensanngli Stati membri che hanno risposto agli impulsi direttivi con proprie normative.nnIl perseguimento dell’intento egualitario è avvenuto infatti, di volta in volta, con l’utilizzo dei vari strumenti legislativi, quali i programmi d’azione, le direttive, le raccomandazioni,le risoluzioni e i trattati, ma la produzione normativa si è espressa soprattutto con lo strumento delle Direttive.nnL’attività comunitaria di cui si parla, si presta anche per semplificazione espositiva,ad essere periodizzata in quattro fasi successive.nnUn primo periodo, che va dal 1957 al 1976; un secondo periodo, definibile di “rivoluzione” e degli sviluppi normativi, che va dal 1976 al 1996; un terzo periodo, che va dal 1997 al 2006 ed infine il quarto periodo, in cui la legislazione in materia viene rafforzata, consolidamentata e al contempo semplificata, con inizio nel 2006 ed arrivo ai nostri giorni.nnPrimo periodo – Il tema della parità tra i due sessi è stato affrontato, prima di tutti i vari ordinamenti nazionali, dal diritto comunitario, la cui norma fondamentale è l’art. 119 del Trattato di Roma (attuale art. 141), secondo cui “ciascuno Stato membronnassicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore”.nnDisposizione di grande significato, frutto di una iniziativa della Francia e che ricalca una disposizione, di analogo se non identico tenore, contenuta nella convenzione n. 100 dell’Organizzazione internazionale del lavoro.nnLa disposizione ha una duplice finalità: da un lato, quella di evitare il dumping sociale rappresentato dalla possibilità di impiegare mano d’opera femminile più a buon mercato di quella maschile e, dall’altro, di garantire la libertà di concorrenza.nnSin dalla sua formulazione originaria dunque, il Trattato istitutivo della Comunità Europea si preoccupa di tutelare le differenze di genere tra i lavoratori, anche se in un primo momento strettamente finalizzato al buon funzionamento dell’attività economica.nnIn un secondo tempo il legislatore europeo, oltre ad espandere la normativa antidiscriminatoria legata al genere, ha introdotto a seguito del nuovo art. 13 (26) Trattato CE, nuovi divieti di discriminazione a tutela di un ampio ventaglio di fattori di rischio, tra i quali il genere di appartenenza è solo uno dei tanti presi in considerazione e che potrebbero portare ad ingiustificate differenziazioni di trattamento.nnSecondo quanto disposto dalla norma il Consiglio può “prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica,la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.nnIl secondo periodo – Nel 1976 inizia la fase definita “rivoluzione”, caratterizzata dall’intervento della Corte di giustizia delle Comunità europee.nnDi fronte alle evidenti violazioni del principio da parte degli Stati membri, dell’inerzia della Commissione europea ad attivare le procedure di infrazione e all’incapacità del Consiglio di realizzare compiutamente la parità, la Corte, chiamata a valutare una differente retribuzione data dalla compagnia aerea Sabena ad una hostess rispetto ad uno stewart, nella sentenza 8 aprile 1976, causa 23/75, Defrenne/Sabena, riconobbe all’art. 119 carattere di norma dotata di effetto diretto almeno rispetto allenn“discriminazioni dirette e aperte”.nnCon la medesima sentenza la Corte ha riconosciuto all’art. 141 (ex art. 119) efficacia diretta, verticale ed orizzontale, vincolando tanto l’autorità pubblica quanto l’autonomia privata e collettiva. Si afferma poi che oltre a costituire un principio fondamentalenndella Comunità, la parità di retribuzione costituisce un diritto umano fondamentale.nnNel vigore del testo originario dell’art. 141 l’ambito di applicazione tuttavia, era determinato dalla limitata competenza della Comunità, quindi la disposizione non era applicabile ad elementi del rapporto di impiego diversi dalla retribuzione.nnLa portata dell’art. 141 è stata ampliata dalla Corte interpretando in maniera estensiva il concetto di remunerazione e facendovi rientrare qualsiasi tipo di vantaggio riconosciuto ai lavoratori.nnGli anni 70 hanno dato avvio ad un periodo di grandi sviluppi legislativi, con normative che hanno esteso il principio di parità uomo-donna a tutte le relazioni di lavoro e di sicurezza sociale confermando e accentuando la vocazione sociale dell’art. 141 TCE. Il vasto panorama normativo, al quale vanno aggiunti i programmi d’azione e gli atti non vincolanti adottati dalle istituzioni europee, ha portato ad un ampliamento della portata del divieto di non discriminazione sulla base del sesso che è stato applicato all’accesso all’occupazione e alle condizioni di lavoro, ai regimi legali e professionali di sicurezza sociale, ai lavoratori indipendenti e agli agricoltori.nnGià l’anno appena precedente, precisamente il 10 febbraio 1975, era stata adottata la direttiva del Consiglio 75/117/CEE per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relativo all’applicazione del principio della parità di retribuzione tra i lavoratorinndi sesso maschile e di sesso femminile. È, tuttavia, del 9 febbraio 1976 la direttiva del Consiglio 76/207/CEE relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione ed alla promozione professionale ed alle condizioni di lavoro.nnQuesta disciplina è stata poi completata dalla direttiva del Consiglio del 24 luglio 1986, 86/378/CEE, relativa all’attuazione del principio di parità di trattamento nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale e dalla direttiva 79/7/CEE del 19 dicembre 1978, relativa all’attuazione progressiva del principio della parità di trattamento tra le donne e gli uomini in materia sociale.nnNel periodo 1976-1996 – oltre ai tre programmi d’azione (1981-1985, 1986-1990-1991-1996) che hanno finanziato le azioni in tema di pari opportunità nei settori della formazione professionale, del lavoro delle donne, dei congedi parentali – si colloca anche la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989.nnL’adozione di una Carta dei diritti sociali fondamentali rispondeva all’esigenza di non trascurare la dimensione sociale nell’ottica di realizzare un mercato unico nella Comunità.nnLa Carta, detta anche Carta Sociale, è stata adottata nel 1989 sotto forma di dichiarazione da tutti gli Stati membri, ad eccezione del Regno Unito che l’ha ratificata nel 1998.nnÈ considerata uno strumento politico contenente degli “obblighi morali” volti a garantire il rispetto di taluni diritti sociali, segnatamente nell’ambito del mercato del lavoro, della formazione professionale, della protezione sociale, della parità di opportunità e della salute e sicurezza sul luogo di lavoro.nnIn essa si chiede espressamente alla Commissione di promuovere iniziative volte a tradurre in atti legislativi il contenuto della Carta sociale. A quest’ultima hanno fatto seguito i programmi di azione e concrete proposte legislative.nnPeraltro, anche la Carta dei diritti fondamentali, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, riprende i diritti enunciati nella Carta Sociale e riprende in un unico testo, per la prima volta nella storia dell’Unione europea, i diritti civili, politici, economici e sociali dei cittadini europei nonché di tutte le persone che vivono sul territorio dell’Unione.nnLa Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori stabilisce i grandi principi sui quali si basa il modello europeo del diritto del lavoro e, più in generale, il posto che occupa il lavoro nella società. Essa comprende le seguenti rubriche:nn• libera circolazione;nn• occupazione e retribuzioni;nn• miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro;nn• protezione sociale;nn• libertà di associazione e negoziato collettivo;nn• formazione professionale;nn• parità di trattamento tra uomini e donne;nn• informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori;nn• tutela della salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro;nn• protezione dei bambini e degli adolescenti;nn• anziani;nn• disabili.nnIl terzo periodo – Il terzo periodo inizia con il 1997, anno in cui viene firmato il trattato di Amsterdam, modificativo del trattato CE  (entrato in vigore nel 1999).nnIl principio delle pari opportunità entra formalmente a far parte del diritto primario dell’Unione europea con le modifiche apportate da questo Trattato al Trattato di Roma del 1957 istitutivo della Comunità europea.nnIl trattato di Amsterdam, infatti, ha riscritto la norma contenuta nell’art. 119 (ora art. 141) del Trattato CE, con la quale si sancisce l’obbligo degli Stati membri di assicurare la parità di retribuzione tra i lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile enndefinisce il concetto di retribuzione, aggiungendovi due nuovi paragrafi.nnSi attribuisce al Consiglio (in codecisione con il Parlamento europeo) il potere di adottare misure che assicurino il principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio delle parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.nnAltresì, “Allo scopo di assicurare l’effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici atti a facilitare l’esercizio di un’attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali”.nnSi aggiunge così una base giuridica ad hoc nel settore delle pari opportunità e del trattamento paritario in materia di occupazione.nnNel dicembre 2000 viene proclamata a Nizza la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.nnL’art. 23, rubricato “parità tra donne ed uomini”ed inserito nel titolo III dedicato all’uguaglianza, sancisce, al primo comma, che “la parità tra donne ed uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione” e precisa, al secondo comma, che “il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”.nnQuesta Carta, con le modifiche apportate nel quadro della conferenza intergovernativa 2004, sarà riproclamata a Bruxelles il 12 dicembre 2007.nnNel decennio 1997-2006 intervengono, infine, due nuovi programmi d’azione (1996-2000 e 2001-2005).nnPer la prima volta, un “Programma”, il IV° d’azione comunitaria per il periodo 1996-2000 per la parità di opportunità tra uomini e donne ,viene adottato con decisione del Consiglio.nnI primi tre Programmi sulle pari opportunità erano stati emanati rispettivamente nel 1982, nel 1986 e nel 1991, con una Risoluzione del Consiglio dei Ministri, cioè un atto privo di effetti obbligatori per gli Stati membri e gli organi comunitari.nnLa decisione del Consiglio dei Ministri sul quarto Programma d’azione comunitaria a medio termine segue la linea emersa dalle ultime riu nioni del Consiglio Europeo (Essen, Cannes, Madrid) e sostenuta dall’Unione Europea nell’ambito della conferenza delle Nazioni Unite sulle donne, tenutasi a Pechino nel 1955.nnIl IV° Programma è conforme all’Accordo sociale europeo firmato a Maastricht, al Libro Bianco sulla cre scita, competitività e sviluppo che aveva evidenziato, come elemento essenziale per la realizzazione di tale trinomio, la necessità di rafforzare la parità tra uomini e donne.nnEssendo un “programma”, contiene una serie di obiettivi graduali e coordinati a vari livelli, come vuole il principio di sussidiarietà, sancito dall’articolo 3 b del Trattato dell’Unione, che stabilisce un intervento della Comunità per realizzare meglio a livello comunitario, gli obiettivi per i quali l’azione statale può essere insufficiente.nnIl IV° Programma, infatti, tenendo conto delle competenze statali nella promozione della parità di trattamento e di opportunità, mira a creare un «valore aggiunto identificando e stimolando esempi di buone prassi in materia di parità».nnLa Comunità si è riservata un ruolo di stimolo e pertanto l’azione comunitaria, delineata nel IV° Programma, ha carattere concorrente e sussidiario rispetto all’azione statale e regionale. Nella premessa all’enunciazione degli obiettivi del IV Programmannviene precisato che esso costituisce un sostegno agli sforzi degli Stati membri tendente a:nn1) Promuovere l’integrazione della parità di opportunità in tutte le politiche ed azioni statali e comunitarie. Nell’ambito comunitario tale parità deve avere carattere prevalente e trasversale in base al principio del mainstreaming47;nn2) Mobilitare sul tema della parità tutti gli attori del dialogo economico-sociale;nn3) Promuovere le pari opportunità nel settore dell’istruzione, della formazione professionale e del mercato del lavoro, considerando l’evo luzione dell’economia;nn4) Conciliare la vita familiare e quella professionale;nn5) Promuovere l’Empowerment: partecipazione femminile al processo decisionale;nn6) Rafforzare le condizioni per l’esercizio dei diritti alla parità.nnPassando al V° programma di azione comunitaria, questo costituisce uno degli strumenti necessari per l’attuazione della strategia-quadro globale comunitaria in materia di parità fra le donne e gli uomini, adottata dalla Commissione nel giugno del 200048.nnGli obiettivi del programma sono i seguenti:nn• Promuovere e diffondere i valori e le procedure sulle quali è basata la parità fra le donne e gli uomini;nn• Migliorare la comprensione delle questioni connesse alla parità fra le donne e gli uomini, compresa la discriminazione diretta e indiretta basata sul sesso e la discriminazione multipla nei confronti delle donne;nn• Sviluppare la capacità degli addetti a promuovere efficacemente la parità fra le donne e gli uomini, segnatamente sostenendo lo scambio di informazioni e di buone procedure ed il lavoro in rete a livello comunitario.nnPer raggiungere gli obiettivi suindicati, il programma fornirà il suo sostegno alla realizzazione delle azioni seguenti:nn• La sensibilizzazione nei confronti della problematica della parità di opportunità, segnatamente diffondendo i risultati del programma attraverso manifestazioni,campagne e pubblicazioni;nn• L’analisi dei fattori e delle politiche riguardanti la parità fra le donne e gli uomini tramite la raccolta di statistiche, la realizzazione di studi, la valutazione dell’impatto secondo il genere, l’utilizzazione di strumenti e meccanismi idonei, l’elaborazione di indicatori e la diffusione effettiva dei risultati. Tale azione comporta del pari il controllo della produzione e dell’applicazione del diritto comunitario in materia di parità fra le donne e gli uomini, in vista di determinarne l’impatto e l’efficacia;nn• La cooperazione transnazionale fra gli operatori, tramite la promozione del lavoro in rete e degli scambi di esperienze a livello comunitario.nnIn relazione al periodo preso in esame, occorre sottolineare la rilevanza di altre Direttive e fonti normative comunitarie in materia.nnIl quarto periodo – L’ ultimo periodo inizia con il 2006 quando il 5 luglio viene adottata la direttiva c.d. “di Rifusione” 2006/54/CE del Parlamento e del Consiglio, relativa all’attuazione del principio di parità di opportunità e di parità di trattamento fra donne e uomini in materia di occupazione e di lavoro.nnQuesta direttiva mira a chiarire ed a semplificare la normativa comunitaria relativa alla parità fra donne e uomini in materia di occupazione e di lavoro, procedendo ad un aggiornamento dei testi legislativi vigenti e riunendo in un solo documento i punti pertinenti delle direttive riguardanti tale tema49.nnAttraverso la “rifondazione”, si vuole garantire l’applicazione effettiva della parità di trattamento fra donne e uomini in materia di remunerazione, di accesso al lavoro, di formazione professionale, di condizioni di lavoro e di regime professionale di previdenzannsociale.nnIl testo unico che ne risulterà costituirà una base coerente definita partendo dalle direttive consolidate, suddivise in capitoli distinti.nnLa direttiva si prefigge di migliorare le procedure al fine di rendere più efficace l’applicazione del principio suddetto.nnLa direttiva 54/CE infatti, prende a riferimento l’art. 141, par. 3 del Trattato per fornire una base giuridica specifica per l’adozione di provvedimenti comunitari volti ad assicurare l’applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento in materia di occupazione e d’impiego, compreso il principio della parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.nnLe varie forme di discriminazione non si producono soltanto sul posto di lavoro, ma anche nel quadro dell’accesso al lavoro, alla formazione professionale nonché alla promozione professionale.nnTra le disposizioni particolari, la direttiva sofferma l’attenzione sulla parità retributiva,sulla parità di trattamento nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale, riportando, in proposito esempi di comportamenti che possono determinare atti di discriminazione,nonché misure necessarie per quanto riguarda i lavoratori autonomi.nnLe discriminazioni sono vietate e sono soggette a sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, riconoscendo anche alle associazioni, organizzazioni o altre persone giuridiche che abbiano un legittimo interesse a garantire il rispetto delle disposizioni in esame, il diritto di avviare, in via giurisdizionale e/o amministrativa, per conto o a sostegno della persona che si ritiene lesa e con il suo consenso, una procedura finalizzata all’esecuzione degli obblighi derivanti dalla direttiva stessa.nnIn sede di quantificazione del risarcimento o di riparazione dovrà essere previsto che l’indennizzo o riparazione non possa avere un massimale stabilito a priori,fatti salvi i casi in cui il datore di lavoro possa dimostrare che l’unico danno subito dall’aspirante a seguito di una discriminazione sia costituito dal rifiuto di prendere in considerazione la sua domanda.nnÈ previsto, infine, che vengano adottati i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta di provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove il soggetto che si ritenga leso abbia prodotto dinanzi all’organo giudicante, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta.

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