Campi elettromagnetici e radiazioni ottiche: rischio espositivo e percezione del rischio

Articolo tratto dal documento “A proposito di sicurezza sul lavoro” a cura di Giovanni Miccichè – Funzionario Tecnico Direzione Normazione UNI

La valutazione dei rischi correlati all’esposizione lavorativa alle Radiazioni non Ionizzanti di cui fanno parte i Campi elettromagnetici (CEM) e le Radiazioni ottiche artificiali (ROA) trova i suoi riferimenti normativi nel Titolo VIII del DLgs n.81/08. Il recepimento della direttiva sui CEM non è stata cosa facile: una lunga attesa normativa da attribuirsi al percorso affrontato dall’ICNIRP per risolvere il problema del personale sanitario applicato all’attività di Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) ed esposto a valori di campo magnetico statico superiori a quelli inizialmente introdotti nel DLgs 81/08 e, verificare il razionale scientifico alla base dei nuovi Valori Limite di Esposizione (VLE) attualmente recepiti a tutela degli effetti sensoriali e sanitari dell’esposizione ai CEM statici o ELF4. Le nuove linee guida ICNIRP, infatti differenziano tra esposizioni in grado di provocare effetti sensoriali (acufeni, fosfeni, vertigini, nausea) in grado di causare possibili rischi indiretti, ed effetti dannosi per la salute del lavoratore. Tutti i VLE relativi ai CEM sono riferiti esclusivamente alla protezione dagli effetti acuti a breve termine in grado di provocare, ad esempio, fibrillazione cardiaca o, nel caso delle radiofrequenze, surriscaldamento e necrosi dei tessuti esposti; non esistono ancora, infatti, evidenze scientifiche di effetti a lungo termine. Prendiamo ora in considerazione i rischi connessi all’esposizione alle ROA che hanno come organi bersaglio cute e occhio e che possono invece indurre sia effetti acuti che, e questa è un’importante differenza, effetti a lungo termine scientificamente provati.

L’Infrarosso (IR) è responsabile di effetti termici acuti (ustione della pelle e/o della cornea) ma anche di effetti a lungo termine: è nota, e da tempo tabellata da Inail, la cataratta del vetraio; anche il visibile (VIS), in caso di intensità elevate può provocare ustioni a cornea, a cristallino e retina. Ma particolare attenzione oggi è per il blu hazard, a causa dell’elevata irradianza spettrale nel blu di molte sorgenti moderne (lampade ad alogenuri metallici o a LED) in grado di provocare danni retinici a lungo termine. La radiazione ultravioletta (UV) può causare danni acuti qualora l’esposizione superi i limiti di dose indicati nel DLgs.81/08; basti pensare alla fotocheratite conseguente a pochi minuti di esposizione a occhio nudo a una saldatrice ad arco o all’ustione cutanea successiva a poche ore di esposizione alla radiazione solare (RS); ma gli effetti a lungo termine possono andare dalla fotoelastosi fino ai ben più gravi e temibili tumori cutanei, primo tra tutti il melanoma.

Il numero di individui che si ammala di melanoma cutaneo è purtroppo in crescita: in Italia ogni anno muoiono circa 1.500 persone a causa di questa neoplasia della cute e circa 7 000 persone ne ricevono una prima diagnosi. Lo stesso IARC, che ad oggi classifica nel Gruppo 2B (possibili cancerogeni) i CEM, già dal 19927 classifica di Gruppo 1 (cancerogeni accertati) la RS e dal 20098 anche l’UV di origine artificiale. Se poi consideriamo che l’esposizione all’UV di un lavoratore outdoor (in agricoltura, edilizia, pesca, trasporti, ecc.) può tranquillamente superare, nell’arco di una giornata lavorativa estiva il VLE previsto per le sorgenti artificiali di quasi due ordini di grandezza, ci accorgiamo che esiste un’errata percezione del rischio: pochissime sono ancora le aziende che affrontano nella stesura del DVR il problema dei propri lavoratori outdoor e della loro esposizione alla RS (ricordiamo che la UNI EN 14255-3:2008 “Misurazione e valutazione dell’esposizione personale a radiazioni ottiche incoerenti – Parte 3: Radiazioni UV emesse dal sole” rappresenta un valido strumento normativo) trascurando così un obbligo di prevenzione.

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